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  1. Mrs. Crowley
     
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    Tra le cose che non so fare c’è anche il non pensarti. Ed è odioso per me sapere che ci sia qualcosa che non sono in grado di fare, qualcosa che mi rende debole. Eppure in questo caso no, non è odioso. Non odio pensarti, o non essere in grado di non farlo. Perché si tratta di te e tutto quello che ti riguarda magicamente diventa amabile, anche se è contro la mia natura. Un tempo mi piaceva meditare, adesso non ci riesco. Perché ogni volta che chiudo gli occhi e svuoto la mente da qualsiasi cosa, il buio dura soltanto tre secondi, non riesco più a parlare con il mio io. Perché chiudo gli occhi e al posto del buio vedo il tuo viso, i tuoi occhi che adoro, sento il suono della tua risata. E succede, succede spesso. Non so non pensarti e non so spiegarmelo. So che io a te ci tengo per davvero. Che comunque non me ne frega niente di non essere più in grado di meditare, o di parlare con me stessa. Mi va più che bene chiudere gli occhi e pensare a te. E penso che alla fine mi basta anche solo stringerti forte le mani quando non trovi le parole per dire quello che ti passa per la testa, guardarti quando non rispondi alle mie domande, baciarti gli angoli delle labbra quando sorridi per catturare quella dolcezza che ti passa sul volto e ti illumina tutto. Mi va bene che tu stia imparando a conoscere a memoria – “by heart”, anzi. In inglese è tutto più bello, perché è più bello conoscere una persona dal cuore che semplicemente conoscerla a memoria- le mie debolezze, mi va addirittura bene ammettere di essere debole e sapere che, se si tratta di te, sono fragile. E’quasi come ammettere di essere un normale essere umano. Io però almeno ho la fortuna di avere te accanto, te che accarezzi anche le parti peggiori di me, che sei in grado di esserci anche quando meno lo merito e che, anche se dici ad ogni cosa “lascia stare”, con me non lo fai. Non mi lasci stare, non mi lasci perdere, non lo fai. Resti sempre. Rischi tutto. E scegli me nonostante io sia in grado di rendere impossibili anche le cose più semplici. Sono in grado di complicare una cosa facilissima come scendere le scale mobili, non riesco a prendere le cose così come sono. E poi arrivi tu, che sei i mille sorrisi che ho negli occhi, quelli veri, non quelli di circostanza. Non quelli idioti di quando faccio selfie cretine, non quelli che regalo agli altri per farli sorridere a loro volta. Parlo di quelli che arrivano quando ascolto una canzone e una strofa mi colpisce, quando leggo un libro e sottolineo frasi che vorrei scrivere a te ma poi non lo faccio perché sarebbe troppo complicato spiegare tutto quanto, quando mi stendo sul letto e sento ancora i tuoi abbracci che mi stringono a te. Sei i brividi sotto la pelle che ribolliscono nel sangue, quelli che sento quando leggo Grossman e devo interrompermi per partire per un’altra guerra mondiale contro me stessa, perché i pensieri sono troppi e la mente non riesce ad accogliergli tutti, perché sgomitano per essere i primi a esser presi in considerazione e perché alla fine tutti, tutti i pensieri che ho mi parlano di te. Posso anche fare la cosa più stupida del mondo, come legarmi i capelli, ma in quel preciso istante mi viene quasi naturale pensare a come sarà quando tu me li slegherai per accarezzarli. Mi alzo la mattina e la prima cosa che faccio, prima ancora di cercare il cellulare per scriverti o leggere se mi hai scritto qualcosa, è prendere la tua collana. E mi siedo sul letto girandola tra le mani, la guardo e penso ai tuoi occhi e penso che sono ancora le sei di mattina e già sei tu la prima e la sola cosa a cui penso. (E niente, apro una piccola parentesi per dirti che sono arrivata a 666 parole e ancora ho un sacco di cose da dirti ma tu continua a leggere come se questa interruzione non ci fosse mai stata.) Guardo quella collana e penso ai tuoi occhi, che anche loro sono così indecifrabili e indefiniti, a volte sembrano quasi liquidi, a volte sembrano quasi trascendenti. Camarda è stato un’ora a parlarci del concetto di trascendenza, inteso come qualcosa che è “altro da questo mondo”. Qualcosa che davvero non si può spiegare perché non si hanno i mezzi necessari, le parole che servono, perché non si hanno termini di paragone e la sola cosa che si può dire è che è altro da noi, da tutto quello che abbiamo mai visto o sentito prima. Forse è stata una delle lezioni in cui sono stata più combattuta. Il mio cervello era attentissimo e non si perdeva una singola parola della spiegazione, amo la filosofia e amo i concetti. Il mio cuore no, quello se ne andava per fatti suoi e sobbalzava ogni volta, quello mi ripeteva ad ogni battito che tu, i tuoi occhi, siete qualcosa di trascendente. Cervello e cuore, i miei non si danno neanche del tu, sono proprio due estranei sempre con idee divergenti, sempre ognuno per fatti suoi, sempre divisi. E non potrebbero di certo andare d’accordo su quello che riguarda te, te e i tuoi occhi fenomenali. Te che già alle sei di mattina ti fai pensare così forte che a volte è quasi assurdo che i miei pensieri non ti arrivino, non colpiscano i tuoi sogni. A me succede, è una cosa strana ma a volte mi sveglio nel cuore della notte e so che in qualche modo mi hai pensata. È una sensazione inspiegabile, come quella che provo dopo essermi girata la tua collana tra le dita e aver allungato la mano per prendere il cellulare e scriverti. Sei la prima persona che cerco nella rubrica la mattina, e una delle poche a cui rispondo sempre. Anche quando non sto bene. O quando non mi va di parlare. Perché so che tu capisci i miei deliri o per lo meno li ascolti, in quei momenti in cui non sarei per nulla in grado di parlare di cose normali. Ma tu sei anche meglio di un’ancora di salvezza. Le ancore devi buttarle giù e rischi di affondare con loro se non sei abbastanza forte. Le ancore possono anche essere come i demoni, quelli ti possono far galleggiare così come ti possono far affogare. Non sei neanche i braccioli che usavo quando ero piccola e non sapevo nuotare ma amavo il mare, quelli che la mamma mi faceva mettere anche quando stavo in riva e che mi graffiavano le braccia, lasciando segni rossastri che però passavano dopo qualche ora. Tu sei molto meglio di tutto questo. Sei le braccia che mi stringono forte e che lasciano un segno permanente che non esistono modi per farlo andare via, non come quelli dei braccioli che dopo qualche manciata di minuti spariscono via ed è come se non ci fossero stati mai. Se io stessi annegando, tu ti butteresti giù per farmi risalire in superficie di tua spontanea volontà. Non come un’ancora, che hai bisogno di buttarla giù e che devi fare attenzione a non cadere insieme a lei. E sei al contempo il mare e il porto sicuro dove approdare. Il bianco e il nero. La cura e il coltello. Il bene e il male. Amo et odi, diceva Catullo. Sei il veleno e l’antidoto. Sei la mia medicina, anche se mi fai morire. Un contrasto, un ossimoro, un’antitesi e la smetto di citarti figure retoriche tanto la Russo dubito ve le abbia mai spiegate. Mi era successo spesso di perdere la testa dietro a qualcuno, succede a tutti del resto. Stavolta è diverso, non mi sento come se avessi perso la testa per te, mi sento direttamente decapitata. E sei fottutamente bello, anche se non mi credi e quando te lo dico storci le labbra. Di quella bellezza che va trattata come fosse la questione più importante del mondo, più importante della guerra, di Moccia che contribuisce al diboscamento con i suoi libri che nemmeno si possono chiamare tali, di Marquez che è morto e non importa a nessuno, più importante della prossima riforma di Renzi, più importante della finale di Champions. È qualcosa che tutti dovrebbero prendersi un minuto per contemplare, ma solo un minuto perché poi non voglio che altri ti pensino così tanto quanto ti penso io. Non mi importa se non mi credi, se alzi gli occhi al cielo o se fai finta di non ascoltare ogni volta che ti dico che sei bello. Hai quel tipo di bellezza che è arroganza e superbia, quel tipo di bellezza prepotente che non puoi non notare, quella che poi in fondo sai di avere. Devi saperlo, non puoi ignorarla. È malcontento generale che scende nel particolare, è un’alzata di spalle, un sorriso appena accennato, gli occhi leggermente socchiusi, i muscoli contratti sempre sulla difensiva, le mani ruvide a voler ricordare che puoi fare male, a volerti convincere di essere indipendente e indistruttibile. E poi hai quegli occhi che non sono mai gli stessi, che qualsiasi parole io possa usare non riuscirei mai a spiegare quello che sono e quanto li amo e lo so, sto scrivendo da mezz’ora e credo di aver nominato i tuoi occhi già venticinque volte. A volte ho quasi paura di toccarti, sembri quelle statue scolpite da Michelangelo che fanno finta di essere inscalfibili ma poi se le tocchi potresti modificare la loro natura così tanto da decomporle, diventare parte di loro così tanto da poterle distruggere poggiando un polpastrello sopra. Ecco perché il vero David non è esposto nella galleria degli Uffizi, la gente potrebbe toccarlo, potrebbe romperlo, potrebbe farlo decomporre, potrebbe rovinare quell’opera d’arte che non può andare persa. Non so se sei mai stato alle grotte di Castellana, quelle sono piene di stalagmiti e stalattiti e ogni volta che ci entri resti incantato da quanto sembrano forti e da quanto hanno resistito nel tempo. E pensi che siano davvero incorruttibili e invincibili, penso che siano bioniche come vorrei essere io, ma ogni santa volta che ci sono andata la guida ha sempre pregato tutti di non toccarle, che il contatto con il DNA potrebbe distruggerle per sempre. E tu a volte mi dai questa sensazione, come se toccandoti potessi far andare in malora tutto quanto, come quando mi ripeti che in due mesi hai sprecato il lavoro che hai fatto per sette anni su te stesso e lo so che sembra stupido ma questo non mi fa sentire orgogliosa. Mi sento in colpa. A volte mi sento in colpa per tutto, lo hai detto l’altro giorno. È che io ho bisogno di te e non c’è un motivo particolare. Quando te lo scrivo a volte ti agiti, come se fosse successo qualcosa, perché sai bene che se fosse successo qualcosa tu saresti il primo e probabilmente il solo a cui mi sarei affidata. Ma io ho bisogno di te sempre, “a prescindere”. Ci sono parole che ti appartengono così tanto, che a volte mi stupisco di sentirle dire da altre persone. Parole che hanno acquistato il tuo tono, la luce che ti brilla negli occhi, la cadenza della tua voce, la tua essenza. Sono come impronte della tua anima che se usate dagli altri perdono il loro senso e sembrano una scialba copia, una citazione fatta da qualcuno che ha anche avuto il coraggio di togliere la fonte. Non avrei mai immaginato che imparare a conoscere il linguaggio di una persona potesse essere eccitante come un contatto tra corpi. Non avrei mai immaginato che alcune parole potessero appartenere così tanto a qualcuno che, se le avessi sentite dire da altre, mi sarei quasi arrabbiata. Come se qualcuno stesse cercando di diventare te, te che sei così unico e irripetibile, così mio. E me ne accorgo quando ci sdraiamo vicini, con i cuori arresi, quando ti premi su di me e ti lasci accarezzare senza più riserve, senza irrigidirti, chiudendo gli occhi. In quei momenti vorrei sapere cosa pensi, vorrei leggere nella tua mente e tanto, anche se ti chiedo di dirmi che hai o a cosa stai pensando, tu mi rispondi sempre che non devi pensare per forza a qualcosa e lasci cadere il discorso. Sei abile nel lasciar cadere il discorso. Nel tentarmi. Nel distrarmi. 90 giorni. Ti conosco da 90 giorni. Tre mesi esatti. Ho così tanta fantasia che potrei farti un regalo al mese, ed è bello farlo per davvero, mettermi in gioco per te, cercare di stupirti e strapparti un sorriso. Li mangerei i tuoi sorrisi. Tre mesi fa tante cose erano diverse. Ancora non sapevo cosa fosse l’amore. A sedici anni è un poco difficile saperlo, riconoscere quel sentimento tra tutta l’accozzaglia di cose che provi dentro. Tanti baci li avevo rubati o me li ero lasciata rubare, ma non mi era ancora successo di sentire il battito accelerato del cuore e le farfalle nello stomaco neanche si azzardavano a presentarsi. Il mio stomaco non aveva solo i liquidi gastrici a proteggerlo, era pieno di insetticida buttato lì per caso. Avevo lasciato che gli altri si innamorassero di me, ma ero sempre sparita sul più bello, prima di potermi legare seriamente, prima che iniziassi a provare vero affetto. E qualcuno mi aveva detto che questo era dovuto alla paura, che me ne andavo io perché avevo paura di essere abbandonata, avevo paura di affrontare quello che provavo. Ma magari fosse stato così, magari tutta questa complessità fosse dovuta a semplice paura. Io semplicemente mi annoiavo delle persone, dopo averle conquistate mi venivano a noia terribilmente e mi sentivo moralmente costretta a sparire, a cercare qualcosa che mi interessasse in qualcun altro. E forse è cinico come discorso, ma è sincero. La prima e probabilmente unica regola che mi sono imposta con te è quella di essere sincera, schietta come lo sono con me stessa. Non sempre ci riesco, ogni tanto prende il sopravvento il caro vecchio cinismo. Come dice il sempre amato Buk “Lei un buon motivo per fare la stronza lo trovava sempre”. E ne approfitto per scusarmi se a volte è successo anche con te, di cercare qualche motivo inesistente soltanto per smaltire il mio bisogno di fare male. Sono arrivata alla conclusione che io non sia adatta nell’intrattenere rapporti umani. Forse sono un poco troppo psicopatica, complessa e complessata. Panofobica. “Ma se tu fossi davvero panofobica, non potresti vivere” mi scrivesti una volta. “E chi ti dice che io viva?” Adesso sì. Adesso vivo davvero. Adesso non ho la fobia di tutto. Non ho mai avuto paura di nulla, paura no, ma le fobie mi assalivano spesso. Fobie assurde, fobie che gli esseri umani non potrebbero mai capire. Fobie che ti sei portato via con un sorriso. Con le tue mani per niente morbide. Con i tuoi occhi… sì, li ho nominati di nuovo, vabbè. È che non sapevo cosa fosse l’amore e scoprirlo tutto di colpo mi lascia ancora basita, e io che con le parole non ho mai avuto problemi adesso mi ritrovo qui a interrompermi e guardare questo foglio, a pensare che forse sto dicendo un mucchio di idiozie senza un filo logico e che di sicuro tu ti annoierai un sacco a leggerle. Ma non immagini quanto sia bello. Ho scoperto di avere un cuore e anche lui funziona, più o meno bene. In realtà funziona fin anche troppo bene, in questo caso. Anche più forte di quello delle altre persone, di quelle ragazze che ho visto piangere ogni settimana dietro ad un ragazzo diverso. Funziona meglio perché non l’ho usato per mezzo mondo, in un certo senso è un cuore vergine se vogliamo metterla sotto questo punto di vista. Un cuore inesperto e che ha davvero paura, paura di sbagliare tutto, di non essere abbastanza, di non sapersi comportare. Un cuore che è pieno di ansia. L’ansia della prima volta. E la cosa meravigliosa è che io non avrei mai voluto che tutto questo succedesse, mi sono ritrovata ad amare così, senza sapere come, né da dove né perché. Come dice Neruda, ricordi? Non mi sono accorta di quello che era nato dentro di me fin quando non mi ci sono ritrovata dentro. Lentamente, e poi tutto d’un fiato. Slowly and then all at once. Ma questo credo sia un bene, perché mi conosco e di sicuro se io avessi anche solo sospettato che tu saresti potuto diventare così importante, avrei cercato in tutti i modi di troncare tutto quanto. Perché il mio cuore ha paura, come tutti alla prima volta. E nemmeno voglio guardare indietro, sono sicura che questa prima volta sarà eccezionale, sono sicura che non avrò ripensamenti e che tu sei la persona che voglio accanto per tutta la vita. È strano parlare di concetti così lunghi o promettere cose così difficili da mantenere ma so quello che voglio. So di voler continuare a provare tutto questo, ma solo per te. Non sono sola, in questo lungo viaggio. E non so quanto possa consolarmi il fatto di essere accompagnata dalla sola persona al mondo che abbia il grane potere di destabilizzarmi. Sono in lotta continua con me stessa, ma lo sai quante guerre mondiali ho intrapreso? E ho perso in tutte. Ha perso il cuore, ma ha perso anche il cervello. Hanno perso i reni, la milza, lo stomaco, l’anima. Ho sempre perso, qualsiasi parte di me ha sempre perso. Hai sempre vinto tu. E forse partirò in guerra altre cento volte ma nulla è in grado di cambiare il risultato. E prima di scriverti tutto questo dentro di me è avvenuta una specie di riunione di condominio e sappi che nessuna parte di me era intenzionata a scrivere questo tipo di cose, e non so in effetti per quale motivo si trovino su questo foglio e non so perché questo foglio ti sia giunto tra le mani. Almeno lui è fortunato, però. Puoi tenerlo in mano quanto vuoi, e io invece non posso abbracciarti quanto voglio. Maledetto tempo. Maledetta me che leggo quel maledetto Bukowski che mi fa venire questa maledetta ansia di questo maledetto tempo. Lo sai, io ci metto un poco di te in qualsiasi cosa faccia o dica. Un poco di te, e tutto diventa migliore. Un poco di te e la versione di greco diventa meno snervante, il capitolo di storia più facile da studiare, tutto acquista un sapore nuovo. Migliore. Ci metto del nostro in ogni respiro che faccio, in ogni passo che compio per essere più vicina a te, in ogni pensiero che la mia mente malsana elabora, in ogni battito del mio cuore che ormai insieme al sangue nelle vene pompa anche qualcosa di te. E non è la solita frase romantica fino al midollo, non è il solito dogma o la solita panzana che si rifila ad una persona, è la cosa più dannatamente vera che provo, è così vera che mi spaventa, è così vera che se dovessi salvare qualcosa al mondo l'unica cosa che salverei sarebbe questa. E'così vera che se dovessi scegliere un motivo al mondo per cui salvarmi, quel motivo saremmo noi. E'così vera che nemmeno riesco a dirtela guardandoti negli occhi, ma provo a scrivertela ogni volta che ho la possibilità.
    Sei così vero che non so cosa abbia fatto di così speciale per meritarti, ma so che farò ogni cosa -lecita o meno- per continuarti ad averti per sempre. E'un periodo di tempo abbastanza ragionevole, credo. E'l'unico limite che ci voglio porre, quello di essere per sempre, continuare ad essere per sempre.




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    Prima di iniziare, vorrei dirti che non devi leggere per nessun motivo questa lettera prima del diciannove. Leggila appena prima di partire, prenditi due minuti per leggerla solo prima di partire. Promettilo, non leggere oltre prima del diciannove.

    Ultimamente, lo sai meglio di me, non abbiamo molto tempo per parlare. Ci sentiamo raramente, e di solito siamo entrambi molto stanchi, parliamo poco, e questo mi ha fatto venire voglia di scriverti. Non è raro che io ti scriva dei messaggi forse anche troppo lunghi, ma una volta tanto ho preferito prendere in mano una penna e provare a scriverti di nuovo. Stai per partire, e se vorrai potrai portare questa lettera con te e rileggerla, tenermi sempre a portata di tasca. Voglio solo augurarti buon viaggio e dirti che non importa quanto poco riusciamo a sentirci, sei costantemente nei miei pensieri. Ti ricordi che avresti voluto salutarmi con quel bacio, il bacio da “sto partendo per una terra lontana?” È molto romantico, ma non posso darti quel bacio in questo momento, non posso accompagnarti alla stazione o all’aeroporto (non so neanche come ci stai andando, adesso che ci penso) e darti un lungo bacio, proprio come fanno vedere nei film. Per questo ti sto scrivendo. Perché se vorrai portare questa lettera con te, metterla nella tua valigia, o sotto il cuscino quando dormi, potrai sapere che è solo per te, così come è solo per te il mio amore. So che è una cosa semplice, ma ormai dovresti sapere che non sono molto brava con i regali se sono per te, non so mai cosa prenderti. Cosa si regala ad una persona che ha già praticamente tutto? Oltre ad avere già tutto, hai anche dei gusti più complicati di me, e ogni volta che cerco di capire cosa ti piace tu magicamente svii il discorso, per questo ho scelto di scriverti. Questa lettera è di sicura una cosa che non hai, e che non potresti mai comprare, perché nessun altro potrebbe mai scriverti una mia lettera. Non è per fare l’egocentrica, è solo perché sono davvero convinta che nessuno al mondo potrebbe amare una persona come io amo te. Virginia Woolf scrisse a suo marito “Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi”. Ho sempre pensato che lei intendesse esattamente quello che intendo io quando ti dico che nessuno potrebbe amare un’altra persona allo stesso modo in cui io amo te. E questo non per qualche mio merito particolare, o perché il mio cuore sia particolarmente in grado di dare amore. Non sono io quella speciale, ma tu: è ‘colpa tua’ se sei così tanto amato. E voglio che tu sappia che nonostante per duemila motivi non sono lì accanto a te fisicamente, ti basta socchiudere gli occhi e mi troverai al tuo fianco, a stringerti la mano e darti tutto il mio amore, solo per te. Tutto quell’amore che non ho mai dato a nessuno e che nessun altro riceverà mai da parte mia, tutto quest’amore che è e sarà sempre solo tuo, esattamente come me. Non è quel tipo d’amore da favola Disney, io sono troppo psicopatica per essere una dolce principessa che attende di essere salvata, e tu non sarai mai solo un bel principe azzurro su un cavallo bianco. Sarebbe troppo finto e stereotipato, e non ti renderebbe giustizia. La sola eroina Disney che mi rappresenti è Alice nel paese delle Meraviglie, e indovina? Lei era troppo persa nel suo mondo per pensare a quella cosina chiamata amore. In effetti lo ero anche io, prima che arrivassi tu, quel giorno. Credo che ricorderò sempre quel giorno come se fosse ieri, ricordo tutti i piccoli dettagli come se fosse la mia scena preferita del mio film preferito. Era il 10 febbraio e faceva un freddo incredibile, come al solito. Io con il freddo ho un rapporto conflittuale: mi piace, se devo stare a casa sotto le coperte a leggere un libro, o vicino al caminetto a bere una tazza di cioccolata calda. Mi piace se devo andare a fare un giro a mare e vedere le onde infrangersi contro gli scogli, ma per il resto l’inverno ce l’ho già dentro tutto l’anno, e avere il gelo sia dentro sia fuori non è l’ideale. La sola cosa che mi piace da morire dell’inverno è il Natale, ma questa è un’altra storia e forse –se sarai molto sfortunato- te ne parlerò dopo. Dico sfortunato, perché se davvero riuscirò a parlartene vorrà dire che ti scriverò un romanzo, non più una lettera. Ma ti stavo raccontando di quel 10 febbraio e del freddo che faceva. Come è comprensibile, io mi stavo dirigendo verso il mio termosifone, quello di fronte alla 1^ A. È sempre stato il mio termosifone, mi ci sedevo sopra e stavo comoda e al caldo. Era un odioso lunedì, il giorno più brutto di tutta la settimana, e mancavano ancora ben due ore prima di uscire da scuola. Come se non bastasse, per il giorno dopo avrei anche dovuto fare i compiti del First –e sottolineo avrei dovuto, perché tanto lo sai bene che una scusa per non farli la trovavo sempre -. Stavo andando verso il mio adorato termosifone, ma quello era già occupato. Da qualcuno vestito di bianco. Quella era la seconda volta che ti vedevo a scuola, probabilmente perché sei sempre stato rintanato nella tua classe con le tue compagne, indifferente a quello che succedeva negli altri piani o anche solo nel tuo corridoio. La prima volta che ti vidi fu dell’assemblea di Natale, quando avete cantato. Ero dietro le quinte, ma nel lato opposto al vostro credo, perché mi sono accorta di voi solo quando siete saliti sul palco. Forse ero troppo occupata a fare la scema, cosa molto probabile, ma non avevo visto la tua classe fin quando non vi siete messi a cantare. In realtà neanche sapevo dell’esistenza della tua classe, prima di quel giorno. Per fortuna che ci siete però, il corso D è molto utile alla nostra autostima, non ci sentiamo più il corso sfigato grazie a voi. Battute a parte, quella fu la prima volta che ti vidi, stavamo facendo il trenino sul palco e io e Ana vi invitammo ad unirci a noi. E ora non sentirti speciale, perché invitammo tutti quelli che incontravamo mentre passavamo, sappilo. però, per qualche strano motivo, chiesi ai miei amici chi fossi. Le tue compagne più o meno di vista le conoscevo tutte, ma tu eri un volto del tutto nuovo. Fu Ana, l’onnipotente che sa tutto di tutti sempre, a dirmi che eri “il ragazzo americano”. Americano, colpo basso. Odio l’America da quando mi ha portato via Laura, in realtà non ho mai trovato un buon motivo per amare la tua America, preferisco di gran lunga la cara vecchia Inghilterra, con la regina, i Beatles e Harry Potter. Ecco, ora tu immagina, un ragazzo proveniente dal continente a cui ho dichiarato guerra, vestito di bianco, poggiato sul mio termosifone. Mi pare fin anche troppo strano che non ti ci abbia cacciato a suon di parolacce, ma quella doveva essere una giornata in cui avevo troppo sonno per prendermela con il mondo, per questo invece di picchiarti mi presentai.. Ok, forse non è andata proprio così. Diciamo che invece di picchiarti attaccai bottone, volevo sapere se inserirti nella lista nera di persone che potevo simpaticamente odiare o se invece nonostante fossi Americano potevi starmi simpatico. La prima cosa che notai di te è che avevi degli occhi molto particolari. Erano strani, perché quando ti parlavo non mi guardavi, non per davvero. Fissavi senza osservare, era come se lo facessi solo per educazione. La seconda cosa che notai di te, è che avevi un tono di voce calmo e pacato, ma sembravi quasi annoiato: freddamente cortese. Però non mi stavi guardando come se fossi un’aliena, e fingevi di ascoltarmi. Non mi negasti il tuo numero, anche se lo ammetto, l’approccio fu davvero strano. E ripensandoci, non so neanche io per quale motivo lo feci. Sì, la scusa del First poteva reggere all’inizio, ma in fin dei conti lo sai meglio di me che l’impegno che ci ho messo in quel corso è lo stesso che ci stai mettendo tu per recuperare il tuo debito in greco, quindi… Ti ripeto, non lo so per quale motivo ti ho chiesto il numero. È una cosa che, grazie al cielo, non avevo mai fatto prima e non ho mai fatto dopo. Non ho mai chiesto ad un perfetto sconosciuto il suo numero, sembra uno di quei tentativi di approccio per niente efficaci che si fanno nei pub il sabato sera quando si è troppo ubriachi per ragionare. Però te l’ho chiesto, e ti ho scritto dopo ben tre secondi. Perché per quanto tu avessi evitato il mio sguardo, io avevo cercato il tuo. Guardarti è stato come avere il solo negli occhi, abbagliante in un certo senso, ma piacevole. E proprio come quando hai guardato troppo a lungo il sole, mi sentivo stordita, mi facevano male gli occhi. E ne sono sicura, in quel momento negli occhi avevo un bisogno disperato e nient’altro. Forse lo avevi anche tu, forse avevi anche tu bisogno di qualcuno. A te serviva qualcuno che si interessasse di te non per demolirti, ma per ricomporti. Io non lo so ancora cosa stavo cercando, ma so che quel giorno avevo bisogno di qualcosa e da quel giorno fino ad oggi non ho mai più sentito bisogno di qualcuno, qualcosa, bisogno di completezza. Da quel giorno in poi ho trovato qualcuno che riuscisse a completarmi, qualcuno che mi facesse sentire salva. Lo facevi con i piccoli gesti, quando cercavi in tutti i modi di correggermi ma poi mi dicevi che comunque ero brava, quando mi mettevi alla prova con le tue domande, quando mi lasciavi parlare solo per demolire i miei ragionamenti e ripresentarmi i tuoi. Mi ricordo di quando hai “perso” il telefono, di quei tre giorni. Sarebbe stupido e ipocrita dire che mi sei mancato, ti conoscevo appena. Eppure ammetto che ci sono stati dei secondi di pura follia in cui avrei voluto quanto meno chiederti se fosse successo qualcosa. Poi però ho deciso di non pensarci molto, e non ti ho scritto. Non volevo essere assillante, alla fine molto probabilmente ti eri già stancato di starmi dietro e non avrei potuto darti torto. Poi però mi scrivesti, e in quel momento pensai che tu fossi come tutti gli altri. La maggior parte dei ragazzi sparisce per periodi medi di tre/quattro giorni e poi torna a farsi sentire con un sacco di raccapriccianti scuse che partono dall’aver perso il cellulare e finiscono con l’aver avuto troppo da studiare a causa dell’università. Però tu mi eri sembrato diverso e non ero ancora pronta a ricredermi su di te, per questo non ne feci una tragedia, e lasciai correre. E alla fine ho fatto bene a non pensare che tu fossi come tutti gli altri, perché se davvero esiste qualcuno di speciale al mondo, te lo ripeto, quello sei tu. Credo che conoscerti sia stata la cosa migliore che mi sia potuta succedere, anche se non sempre le cose sono facili, anche se tu non sei una persona facile e a volte starti accanto diventa quasi impossibile. Come quando ti chiudi in te stesso e non mi lasci entrare nel tuo mondo, quando preferisci tenerti per te le cose piuttosto che condividerle, quando per motivi tutti tuoi diventi di colpo freddo e distante. Non sempre le cose sono facili, è vero, ma sono proprio queste tue perfette imperfezioni a renderti così tanto speciali. Di una persona senza difetti ci si stanca subito, è una persona costruita per apparire perfetta ai tuoi occhi. E io ti ho sempre chiesto di non esserlo, di non fingerti chi non sei, ti ho sempre chiesto di lasciarmi conoscere la persona che sei davvero, nella tua totalità, con tutti i tuoi errori e i tuoi difetti. Tutti abbiamo una parte oscura dentro di noi, qualcosa di cui ci vergogniamo, qualcosa che ci logora, quel qualcosa che non riesce a farci addormentare bene, perché ritorna sempre nella nostra testa la notte, quando siamo più vulnerabili e indifesi. Il segreto sta nel trovare qualcuno con cui condividere il proprio lato buio, qualcuno che voglia far giocare i suoi demoni nella tua oscurità. E io voglio esserci per te, voglio sapere quello che ti passa per la testa, voglio sapere chi sei davvero, voglio che tu possa dirmi ogni cosa senza aver paura. Non riuscirò mai a capire cosa ti spaventa. A volte dici che io sono paranoica – cosa abbastanza vera – ma tu non sei da meno, sai? Eppure te l’ho detto. Sì, a volte ho i miei cinque minuti di schizofrenia, e ti chiedo di sopportarli come meglio puoi, ma a parte quelli non puoi davvero avere paura di una mia reazione a quello che potresti dirmi. Se non mi reputassi pronta a sapere tutto, non ti avrei chiesto né te lo chiederei così frequentemente. Non si è mai trattata di pura curiosità, e non ho mai cercato di entrare nella tua testa per manipolarti o per capirti, mi piace la psicanalisi ma non la userei mai con te. Voglio che sia tu ad aprirti, a raccontarti, e devi farlo perché ti fidi di me, non perché ho trovato qualche sotterfugio per convincerti, non sarebbe giusto. Non mi devi parlare di te perché ti senti costretto, perché ti ho preso in contropiede o perché ho trovato un modo per farti aprire, ma devi parlarmi come fosse un regalo. E sappi che quando ti aprirai con me del tutto, senza paure né nascondigli, sarà il regalo più bello che tu possa farmi: lasciarmi entrare nella tua vita, far cadere le tue difese e farlo soltanto perché ti fidi di me, perché sai di poter condividere con me qualsiasi cosa. Io aspetto i tuoi tempi, e li aspetterò sempre, ma voglio ricordarti che ci sono, che sono qui accanto a te e che niente potrebbe mai farmi andare via. Te l’ho detto, se un giorno mi chiamassi al telefono sconvolto perché hai ammazzato qualcuno, non ti farei tremila domande per saperne il motivo, né ti chiuderei il telefono sconvolta. Ti offrirei solo una mano per occultare il cadavere, o sbarazzarcene seguendo i consigli di Hannibal, dipende cosa preferisci tu. Scherzi a parte, non credo di essere stata molto brava a centrare il punto, ma sto solo cercando di dirti che a prescindere da tutto e da tutti, io ci sono. E ci sarò sempre, a qualsiasi costo. Senza pregiudizi, senza guardarti con occhi diversi, senza giudicarti, senza biasimarti, senza farti la paternale, ma solo con tanto amore. Ci sarò, a stringerti la mano e dirti che sono dalla tua parte, anche quando avrai torto marcio. Ci sarò come ci sono adesso, a darti tutto il mio amore. Sappi che resterò sempre al tuo fianco, non te ne dimenticare, non metterlo mai in dubbio. Qualsiasi cosa ti succeda, quando ti sembra che il mondo ti stia per crollare addosso, lo sorreggeremo insieme. Ci salveremo insieme. Adesso che ti ho trovato, adesso che ti ho, non ti lascio andare via per nessun motivo al mondo. Lo sai che mi piace immaginare che un giorno, si spera un giorno non troppo lontano, tu potrai essere davvero solo mio. Senza tutti questi soffocanti impegni, senza dover aspettare la notte per poterti parlare, senza dover stare così lontana da te per settimane intere. Quando la tua assenza si fa soffocante, quando mi manchi particolarmente, inizio a pensare a come sarà averti accanto tutti i giorni fra qualche anno. Sì, ho detto come sarà e non come sarebbe, perché io sono convinta che succederà. Non è solo un’ipotesi o una fantasia, ma un sogno che diventerà realtà. Ti avrò accanto a me, ogni singolo giorno. Non sono mai stata particolarmente a favore del matrimonio, ma ripensandoci credo che con te sarebbe bello. Sarebbe bello poter essere a tutti gli effetti la tua donna, avere il tuo cognome, averti accanto ufficialmente. Immagino che dovremmo organizzare un matrimonio in Chiesa però, e prometto che se proprio ci tieni posso chiudere un occhio al mio astio contro la Chiesa e la religione, solo per te. E andremo a scegliere la Chiesa giusta, quella più bella, quella che ci piace di più. Io ho un debole per la Cattedrale di Oria, o per qualsiasi chiesa di tipo gotico, sai? Per quanto sembri strano, vado spesso in Chiesa, solo per guardare le architetture e ovviamente non quando stanno celebrano le funzioni. Non sono ancora bruciata, né ho sentito voci demoniache parlarmi all’orecchio –una volta sola, a Latiano, ma non sono certa fossero voci demoniache – quindi credo che potrei resistere a un matrimonio. Mettere il vestito bianco, scegliere i fiori, gli addobbi, il trucco, le acconciature, i vestiti per le damigelle, scegliere a chi affidare il ruolo di testimone… sarà un poco un’impresa, probabilmente. Mi renderà isterica, quasi sicuramente. Ma con te posso essere sincera, credo che mi piacerebbe, sarebbe l’inizio di una vita insieme e sarebbe rispettare le tradizioni e tenere contenti tutti. Sarei contenta anche io, nonostante il poco amore per le Chiese, semplicemente perché da quel giorno in poi sarei tua e solo tua, e lo sarei totalmente. E poi potremmo partire per la Luna di Miele, facciamo che ognuno di noi due sceglie dei luoghi e poi la buttiamo alla sorte, testa o croce, così non litighiamo. Io ovviamente proporrò una specie di tour dell’orrore, più che altro un tour magico, diciamo. Partiamo dalla Sicilia, precisamente Cefalù, voglio visitare l’Abbazia di Thelema. Ci sono strane storie a riguardo, è la casa dove visse Aleister Crowley e dove iniziò i riti della sua religione. Poi c’è Boleskine House, in Scozia. Anche quella fu una delle case di Crowley, comprata poi da Jimmy Page dei Led Zeppelin. Lì lavorarono al loro album noto con il nome di Zoso, lì Page compose Stairway to Heaven e lì avvenne l’incontro con il famoso Black Dog. In quella casa perse la vita il batterista dei Led Zeppelin, per questo poi Page la vendette. Diventò prima un B&B, adesso invece è una specie di residenza privata, ma in alcuni periodi particolari può essere visitata. Ti farò da guida turistica, nel caso tu fossi così sfortunato da vedermi vincere sulla scelta delle mete. Sempre per restare in Inghilterra, non possiamo parlare di magia e non andare a visitare Stonehenge, e sappi che ti risparmio la visita turistica di tutti i luoghi cult di Harry Potter soltanto perché ti voglio davvero tanto, tanto bene. E dai, facciamo che mi accontento di questi posti, per adesso. Ovviamente tu da ragazzo galante e meraviglioso adesso dovresti dirmi “dai cara, ti tengo contenta, andiamo a vedere tutte le location di Harry Potter!”. Ci conto, mi raccomando! A parte questo, volevo solo parlarti di quando sarà bello vivere insieme, svegliarti ogni mattina con un bacio e un cornetto caldo, l’odore di caffè e la colazione a letto. Prepararti le cose per fare la doccia o un bagno caldo, dipende dalla stagione. Farti le coccole, imparare a cucinare per te, bruciare tutto quando mi distrai con le tue carezze. Non so cosa voglio fare da grande, non so neanche se potrò andare all’università, ma per ora so che voglio essere tua, voglio avere una famiglia con te, voglio vivere con te. Voglio che tu sia davvero mio ed essere davvero tua ogni singolo giorno. Passare il Natale insieme, guardare il Grinch con i pop corn in mano, addobbare l’albero e preparare i regali. Invitare tutti i parenti e gli amici per il cenone di Capodanno, andare a mare di Ferragosto, concederci una vacanza all’anno, non importa dove. Ordinare una pizza da mangiare sul divano e mettere un bel disco da ascoltare, stare insieme. Curarti quando hai la febbre, guardarti giocare ai tuoi videogiochi mentre leggo un libro, trascinarti con me per andare a fare shopping, distrarti quando ti tagli la barba in bagno, a petto nudo davanti allo specchio, e farti graffiare tutto con il rasoio fin quando non arrivi a minacciarmi. Preparare una torta la domenica mattina per svegliarti con qualcosa di dolce, uscire per fare una passeggiata, andare a mare. Litigare sotto la pioggia ma stringerci forte con la scusa che fa troppo freddo. Mangiare per ore di fila in una fast food fino a stare male, più che altro tu che mangi e io ti distraggo come al solito. Guardare i tuoi anime e farti incavolare perché ti dico che sei troppo grandi per quei cartoni animati, sentirti discutere per mezz’ora da solo nel tentativo di spiegarmi che non sono dei semplici cartoni e che comunque “non sei troppo grande” per guardarli. Farmi prendere in giro quando leggo Harry Potter in inglese e ti chiedo aiuto con i termini e tu –ovviamente – prima ti rifiuterai e poi mi darai risposte sbagliate. Un giorno a settimana dobbiamo assolutamente dedicarlo al cinema, non mi interessa se non lo hai mai fatto prima, ricominceremo dall’inizio e ti farò guardare tutti i film che devono essere guardati almeno una volta nella vita. Ti preparo anche i pop corn, così almeno ti tieni impegnato mangiando e non brontoli ogni due minuti. Credo di dover preparare parecchi pop corn, adesso che ci penso. Prepararti un dolce mentre tu stai dormendo sul divano, e farti svegliare con un profumo squisito che invade tutta casa. Venire a vederti suonare, e magari prendere qualche lezione da te, giusto per imparare almeno il rullo di tamburi. Scriverti sulla schiena con le dite cose che non direi mai ad alta voce, fare la lotta con i cuscini e magari anche con la farina, le uova e tutto il resto. Dirti che sei bello e che sei mio appena ti svegli, con i capelli spettinati e gli occhi ancora pieni di sonno. Comprare un videogioco e sfidarti, sapendo che non vincerò mai contro di te e che se dovessi vincere di sicuro è perché tu me lo hai lasciato fare. Aspettarti ogni sera perché di sicuro io tornerò prima di te a casa, qualsiasi cosa faremo, e non andrò mai a dormire senza averti dato la buona notte. Andare a mare. Andare in Egitto. Andare in Giappone. Andare in Inghilterra. Darmi da fare perché voglio che tu sia fiero di me, di avermi accanto, a prescindere dall’amore. Stare con te. Fare tutto, ma farlo insieme. L’importante per me è averti accanto, voglio che il mio letto continui a profumare di te ogni giorno, come quando avevo la tua giacca, ma stavolta voglio che sia il nostro letto. Quello dove svegliarti la mattina, quello dove mi abbracci la notte, quello dove posso stringermi a te quanto voglio, quello dove nessuno potrà dirci cosa fare e cosa non fare. Alla fine, sono sicura che ce la faremo. Prima di conoscerti ero a pezzi, tu hai saputo riconciliarli tutti e farmi riconciliare con me stessa, hai saputo darmi la serenità che non avevo mai trovato prima, e soprattutto riesci a farmi sentire protetta salva ogni singolo istante. E un giorno spero di poter ricambiare tutto questo, un giorno spero che tu ti possa affidare a me quanto io lo sto facendo e farò sempre con te, ma fino a quel giorno mi basta solo poterti stare accanto e poterti ripetere quanto speciale sei per me. Mi basta poterti ringraziare per tutto quello che forse anche inconsapevolmente stai facendo, per l’immenso lavoro che mi hai permesso di fare su me stessa: non ce l’avrei mai fatta senza di te. Sto vincendo le mie ansie, le mie paure, il cinismo dietro cui mi sono sempre nascosta. Sto imparando a far uscire fuori i miei sentimenti senza che la mia sociopatia mi ossessioni. E sto anche scoprendo che tutto questo mi piace, mi piace perché è per te. Mi piace e non ho paura, perché so che ogni volta che cado tu non resti lì fermo a guardarmi dall’alto al basso, non ti limiti a tendermi la mano. Tu ti siedi accanto a me per terra, mi fai forza, e ci rialziamo insieme ripartendo da zero. A quanto pare è proprio vero che nessuno si salva da solo, neanche io. Per sedici anni mi sono ripetuta sempre “Devi farcela da sola. Devi essere la tua ancora. Non permettere a nessuno di salvarti, perché saranno le stesse persone che ti ammazzeranno. Non permettere a nessuno di consolarti nei momenti cupi, perché se ne approfitteranno quando tutto intorno a te sarà totalmente buio.” Era una sorta di mantra personale. Invece adesso credo che qualcosa dentro di me sia cambiata. Sono stata a lungo l’ancora di me stessa, poi ho capito che era proprio quello il problema: l’ancora è un peso che butta giù e ti fa restare aggrappato a qualcosa che, nel mio caso, era molto vano. Se non affogavo non era perché io ero l’ancora di me stessa, ma perché come dicono i Bring me the horizon, i miei demoni sanno nuotare. Erano loro a tenermi a galla. E ho capito che la mia frase preferita, quella che mi ero appiccicata addosso, in realtà non era vera. Anche quella era un’altra menzogna. È una frase che ho fatto mia molto tempo fa, e di cui sono sempre stata convinta, non credo di avertene mai parlato, ma visto che ci sono non mi costa niente accennarti qualcosa. My demons don’t have me, I have them. Sai quante volte la dicevo? La dicevo ogni volta che le persone mi chiedevano come facessi ad aiutare sempre tutti senza mai chiedere aiuto per nessun motivo. La ripetevo ogni volta che qualcuno tentava di psicanalizzarmi. Non sono mai stata debole con nessuno, né ho mai permesso a qualcuno di scavare dentro di me. E la cosa peggiore è che all’epoca ero davvero convinta di quello che dicevo. Poi però ho capito che non è vero, che sbagliavo. Non so neanche quando di preciso me ne sia resa conto, è stato un processo lento e al tempo stesso l’intuizione è stata fulminea. Ho capito che sì, io ero l’ancora di me stesa, ma tu eri il mio porto. L’ancora serva momentaneamente per non far affondare una nave, ma essa deve comunque arrivare sana e salva al suo porto per essere al sicuro, per essere salva. L’ancora non basta a salvare. Il porto invece sì. E io ti considero davvero il mio porto, che mi ripara dalle tempeste e mi protegge sempre. Credo che possa essere davvero pericoloso avere bisogno di qualcuno a tal punto, ma in fondo non ti ho sempre detto che tu sei anche il mio mare? Il mare è bellissimo, è invitante, è persuasivo. Quanto ti metti a nuotare senti di poterlo fare per ore, l’acqua che ti bagna la pelle è così avvolgente, ti fa sentire così salva. E al tempo stesso l’acqua del mare è salata, e brucia su tutte le cicatrici che ti porti dentro. Il mare ci mette meno di due secondi per avvolgerti del tutto e farti andare giù, e niente potrebbe salvarti. Eppure quella sua morbida carezza che ti impedisce di respirare aria fresca e che ti pesa così forte sul petto, sembrava così rassicurante fino a pochi istanti prima. Ecco, questo è il mare. E questo sei tu. Del resto dubito ci sia un sentimento più facile e al tempo stesso più complesso dell’amore. Basta un bacio, una carezza, un abbraccio, e tutto sembra passare. Basta un semplice messaggio per sorridere. E al tempo stesso gli equilibri sono così instabili che basta anche molto di meno per scatenare l’inferno, per ritrovarsi in un cumulo di macerie. Ci sono persone che nascono per amare, ci sono persone che nascono per essere amate e poi ci sono persone che con l’amore non ci azzeccano proprio nulla e una di quelle persone credevo di essere io. Io l’amore non lo capivo, non credevo di essere in grado di reggere un sentimento come questo, di riuscire a sopportare i cambiamenti. Adesso la penso diversamente, credo che Platone avesse ragione. Semplicemente si può amare davvero soltanto una persona, a tutte le altre ti puoi affezionare, puoi fare delle esperienze, puoi imparare quanto sia spiazzante affezionarsi a qualcuno e quanto possa fare male, ma non puoi amarle. Esiste soltanto una metà perfetta, quella che ti completa del tutto. E tu sei l’altra metà di me. Molto probabilmente è un purissimo caso, ma quando abbiamo iniziato a parlare io stavo leggendo proprio il Simposio, l’opera in cui Platone parla della sua concezione di amore. C’è un passo che preferisco spiegarti a parole mie piuttosto che riportartelo, perché per quanto Platone avesse il dono della poesia nel sangue, ci tengo a fartelo conoscere nella mia ottica. C’era un tempo in cui gli esseri umani erano delle creature perfette a cui non mancava nulla, creature complete che proprio a causa della loro perfezione fecero invidia a Zeus. Per questo motivo il dio decise di dividerli in due, e da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, la sola che può ridarle la sua antica perfezione. Quando queste due metà si incontravano, tutto il resto scompariva: non era razionalmente spiegabile. Ci sono anime che si sono incontrare mille volte in mille vite diverse e si sono sempre scelte in mezzo a tutte le altre, sono le anime che amano nonostante le difficoltà, che amano e non sanno come, né da dove, né perché. Ogni volta che queste anime si incontrano di nuovo, scatta dentro di loro un meccanismo, qualcosa che non riescono a controllare. Onestamente, mi piace questa spiegazione e per quanto sia altamente irrazionale, per il momento è quella più razionale che conosco per spiegarmi cosa mi è successo da quando sei entrato a far parte della mia vita. Forse semplicemente ho riconosciuto in te la mia metà perfetta, quella che inseguo in ogni vita, quella che cerco in ogni vita, la sola in grado di completarmi, e di farmi sentire perfetta. Perché nonostante siamo disastrati e incasinati, nonostante spesso finiamo anche con l’incasinarci a vicenda, insieme siamo perfetti. Io e te, la squadra perfetta, mi scrivesti una sera. Non avresti potuto esprimere il concetto con parole migliori, per questo permettimi di citarti. Sai, tu sei diventato il mio ikigai. Ti piace tanto il Giappone e la sua cultura, dovresti sapere che cos’è. L’ikigai è il motivo per cui mi sveglio la mattina e vado avanti, lo scopo della nostra esistenza. Scommetto che questa parola non la conoscevi neanche tu, vero? Scommetto anche che non ti aspettavi così tanta dolcezza da parte mia, ma è bello viziarti e coccolarti anche in queste piccole, farti abituare ad essere amato. Non molto tempo fa ero convinta che le persone dolci fossero ingenue e indifese, invece adesso credo che sia l’esatto contrario. Le persone dolci semplicemente sono così forti che si permettono di non indossare nessuna maschera, di mostrare i propri sentimenti senza che mille paure le assalgano. Sono libere di essere vulnerabili, di provare emozioni e di comunicarle, soprattutto sono libere di correre il rischio di essere felici. E se c’è una cosa che posso assicurarti è che tu sei la mia più grande felicità, e i miei occhi non smetteranno mai –e dico mai – di guardare a te come se fossi la cosa più bella che abbia mai visto.
     
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